Rinuncio’ alla casa coniugale: non puo’ opposri alla decurtazione dell’assegno divorzile

Dopo il divorzio l’onerato ottiene che l’assegno a suo carico sia dimezzato rispetto all’importo versato ai tempi della separazione. E il coniuge “debole”, che fa? Soccombe. Non giova infatti sottolineare di avere rinunciato all’assegnazione della casa coniugale in sede di omologazione della “consensuale”: la decurtazione dell’assegno di divorzio rispetto a quello di separazione risulta motivato adeguatamente in base alle dichiarazioni dei redditi acquisite dal giudice. Lo stabilisce la sentenza 19971/09 della Cassazione.

 

Il caso

L’imprimatur del Tribunale alla separazione arriva nel 1996: l’assegno di mantenimento in favore della moglie è fissato a 500 mila vecchie lire mensili. Otto anni dopo è dichiarata la cessazione degli effetti civili del matrimonio: l’importo dell’assegno divorzile risulta determinato in misura pari a quella pattuita all’epoca della separazione (più adeguamenti Istat). Ma l’onerato non ci sta e ottiene dalla Corte d’appello la decurtazione a 150 euro, contro i 600 chiesti dall’ex moglie. Che ha un bel dire nel lamentarsi delle spese cui è costretta ogni mese, a partire dal canone di locazione della casa dove vive: il “taglio” dell’assegno risulta ben motivato in base all’articolo 5, comma 6, della legge 898/70 e non può essere censurato nel giudizio di legittimità. A vuoto anche gli altri due assalti: la domanda di corresponsione della quota di Tfr del marito è inammissibile perché presentata per la prima volta in appello; mentre il “no” alle indagini tributarie sull’onerato, pur contestato, rientra comunque nella discrezionalità del giudice.

 

La decisione

Le variabili da considerare sono sempre il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio e la capacità reddituale dei coniugi: in passato, ad esempio, la stessa prima sezione della Corte ha bocciato, perché troppo esiguo, l’assegno di 1.000 euro al mese per la casalinga separata costretta a pagarsi anche l’alloggio. E va ricordato, infine, il principio secondo cui la casa familiare non può essere assegnata all’ex coniuge economicamente più debole per rimediare alle disparità patrimoniali fra marito e moglie.

 

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