La Cassazione rispolvera il danno esistenziale. Va risarcito anche il padre del bambino nato con una malformazione non diagnosticata dalla struttura sanitaria in tempo per far decidere alla madre se abortire o meno.
Senza riaffermare esplicitamente l’esistenza del danno esistenziale la Suprema corte, in un passaggio della sentenza n. 13 del 5 gennaio 2010, lo ripropone di fatto come modello risarcitorio, non sapendo come altro riconoscere il ristoro al danno indiretto sofferto da un padre di un bambino nato malato e al quale era senz’altro cambiata tutta l’esistenza. “La nascita indesiderata determina – mettono nero su bianco gli Ermellini – una radicale trasformazione delle prospettive di vita dei genitori, i quali si trovavano esposti a dover misurare (non i propri specifici valori costituzionalmente protetti, ma) la propria vita quotidiana, l’esistenza concreta, con le prevalenti esigenze del nascituro, con tutti gli ovvi sacrifici che ne conseguono”. Quindi, continuano i giudici con un documento che è destinato a sollevare antiche polemiche fra studiosi e magistrati, “le conseguenze della lesione del diritto di autodeterminazione nella scelta procreativa, allora finiscono per consistere proprio nei rovesciamenti forzati dell’agenda di cui parte della dottrina discorre nel prospettare la definizione del danno esistenziale. Insomma, tale caso sembra costituire un caso paradigmatico di lesione di un interesse che non determina un prevalente danno morale o biologico, peraltro sempre possibile, ma impone al danneggiato di condurre giorno per giorno, nelle occasioni più minute come in quelle più importanti, una vita diversa e peggiore di quella che avrebbe altrimenti condotto. In casi del genere, il danno risarcibile non può essere limitato solo al danno alla salute in senso stretto della gestante”.
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