I DIRITTI DEI NONNI DI STARE CON I NIPOTI DI GIAN ETTORE GASSANI – AVVOCATO MATRIMONIALISTA IN MILANO E ROMA.

Ammetto di avere un debole per la figura e il ruolo dei nonni, ricordando con tanta nostalgia i miei. Prima che la famiglia italiana mettesse in discussione se stessa e ogni suo punto cardinale, i nonni rappresentavano senz’altro una componente essenziale e rispettata, tanto che essi molte volte convivevano con i nipoti, determinando la creazione di rapporti solidi, speciali ed esclusivi. Anche oggi i nonni sono importanti, ma qualcosa è cambiato anche dal punto di vista sociale e culturale. Almeno quattro milioni di bambini da zero a tredici anni, sono “affidati” ai nonni per gran parte della giornata e/o nei fine settimana. La ragione di tale fenomeno è da ricercare nel fatto che oggi, per tirare a campare, lavorano entrambi i coniugi. Siamo entrati, quindi, nell’era dei “nonni sitter”, figure familiari che, oltre a far risparmiare alle famiglie soldi in tate filippine e romene, arricchiscono i nipoti con amore e esperienza, anche quando magari non si sono dimostrati “buoni suoceri”. Se tante coppie di genitori oggi riescono a onorare la rata del mutuo o a godersi una vacanza è perché un nonno consente loro di risparmiare circa 800 euro al mese di baby sitter. Si calcola che l’apporto economico che i nonni regalano a figli e nipoti ammonta a circa 1,2 miliardi di euro. Nonostante tutto il patrimonio di amore e di aiuto di cui è protagonista la terza età italiana, emerge il dato sconsolante che i nostri “vecchi” siano sempre più soli e sempre meno rispettati. Secondo di risultati dell’indagine realizzata dal Centro nazionale epidemiologico dell’Istituto superiore di sanità, riguardante diciotto regioni italiane, un anziano su tre soffre di depressione (la media della popolazione fa registrare un malato di depressione ogni dieci abitanti). Il 10 per cento degli anziani italiani addirittura vive in uno stato di totale isolamento sociale che può durare intere settimane, durante le quali essi non parlano con nessuno.

È certo che il rapporto nonni/nipoti abbia una sorta di corsia preferenziale che non può essere messa in discussione o confusa con altri rapporti. Insomma, la terza età, quella che avrebbe bisogno dell’aiuto di tutti, regge le sorti del Paese: mantiene i figli bamboccioni a vita o li raccoglie quando il loro matrimonio si spacca e contribuisce a tirar su milioni di piccoli italiani. Come se no bastasse, la legge obbliga i nonni a provvedere al mantenimento dei nipoti qualora non vi provvedano i genitori. La recente legge, che ha introdotto l’affidamento condiviso nel nostro Paese, ha sancito il principio che il minore ha il diritto di mantenere rapporti “stabili e significativi” con entrambi i genitori separati/divorziati e con tutti gli ascendenti entro il quarto grado (quindi nonni compresi). Sembrava che questa novella rappresentasse una grande apertura per i grandfather e le grandmother. E invece no. Perché ai nonni non è stato riconosciuto alcun diritto. È stata un’occasione mancata, l’ennesima del legislatore, di valorizzare il ruolo dei nonni e attribuire ad essi diritti pieni e indiscutibili, tra cui quello di poter continuare a vedere i nipoti, a prescindere dalle cattiverie di figli, generi e nuore.

Conosco tante storie drammatiche di nonni che hanno pagato sulla loro pelle (così come hanno pagato i loro nipoti) le assurde conseguenze di una separazione coniugale altamente conflittuale e incivile. Capita spesso che, all’improvviso e senza un motivo (ammesso che ve ne possa essere uno lontanamente accettabile), un nonno dopo aver cresciuto il proprio nipotino, sia messo improvvisamente da parte quando non serve più o quando bisogna fargliela pagare per qualcosa.

Le volte che si è tentato disperatamente di salvaguardare questi rapporti dinanzi al tribunale per i minorenni ci si è trovati contro un muro di gomma. In poche battute tutto è stato cestinato dal giudice oppure, nella migliore delle ipotesi, ai nonni sono stati concessi tempi simbolici da dedicare ai nipotini, tanto da renderli del tutto insignificanti. Sono circa 60 mila i casi censiti di nonni italiani che, negli ultimi vent’anni, hanno tentato la strada giudiziaria per tutelare i loro sentimenti, ma la realtà silente riguarda un numero di casi almeno triplo rispetto a quello ufficiale. Per molti di questi anziani i nipoti restano l’unica ragione di vita e forse l’unica ragione per soffrire ancora.

Un giorno un anziano signore di nome Santino si presentò nel mio studio senza appuntamento. Era magrissimo, con un volto scavato e pallido, occhi grigi, claudicante, gli occhiali con una delle due stecche legate con una sorte di nastro isolante: ottantacinque anni portati male. Con grande timidezza l’anziano mi strinse la mano e dopo essersi lentamente accomodato sulla poltroncina dinanzi a me, restò in silenzio per qualche istante, asciugandosi la fronte sudata dall’emozione e dalla stanchezza. Poi mi disse: «Avvocato, mi scusi se sono piombato qui senza appuntamento. Era tanto tempo che volevo incontrarla, tante volte sono arrivato inutilmente fino al suo portone, ma poi ho sempre rimandato questo momento. Pensavo di potercela fare da solo».

«Cosa posso fare per lei?»

«La mia è una storia molto triste. Prima ho perso mia moglie, sei anni fa, per un male incurabile e poi quattro anni fa è morto il mio unico e adorato figlio per un grave incidente sul lavoro. Sono vecchio e solo. Mia moglie per me era tutto, il mio angelo custode, l’unico amore della mia vita, la compagna fino all’ultimo, colei che mi faceva sentire importante anche se non contavo niente. Mio figlio era la mia speranza, la luce dei miei occhi. Oggi l’unica persona cara che mi è rimasta al mondo è il mio nipotino Giulio, di nove anni, che mi ricorda tanto mio figlio e la mia cara moglie. Sono due anni che non riesco più a vederlo né a sentirlo. Sapesse quanto è dolce e carino. Sua madre, mia nuora, da tempo ha cambiato città e convive con un altro uomo. È probabile che lei voglia cancellarmi come nonno. Forse mio nipote chiama “papà” il nuovo compagno della madre. Non so più nulla di questo nipotino. Quando chiamo sul cellulare di mia nuora, mi viene interrotta la comunicazione. Non conosco nemmeno il nuovo indirizzo, almeno per spedire una lettera di auguri di Natale. Non ho più forze, mi creda. Sento di essere agli sgoccioli della mia vita. Per me questa situazione è insostenibile perché ho perso la speranza. Ho lavorato tanto, ho dato tutto me stesso alla famiglia, per poi perdere i miei affetti più cari».

L’anziano signore si asciugò le lacrime ed estrasse dal suo vecchio e malandato portafogli la foto del nipotino che lo ritraeva in braccio alla moglie defunta.

«Mi faccia capire meglio, signore. Lei dice che da due anni non vede e non sente suo nipote. Che cosa ha fatto per cercarlo?»

«Avvocato, mia nuora non mi ha mai comunicato neppure la città dove vive. Non è questo il punto. Forse l’avrei potuta trovare se avessi voluto. Ma non sarebbe cambiato nulla. Il mio dolore è prendere atto di non essere accettato. Eppure quando mio figlio era in vita sono stato il baby-sitter di Giulio. Questo bimbo era la mia vita. Oggi mi accorgo che la morte di mio figlio mi ha ucciso due volte perché mi ha fatto perdere anche Giulio, l’unico mio salvagente in questa mia povera vita che sta finendo nel modo peggiore. Di solito noi uomini, noi padri moriamo prima e questo è un regalo di Dio perché non dobbiamo assistere alla morte dei nostri cari. Io invece sono sopravvissuto alla morte dei miei familiari. Al mondo ora c’è un vecchio nonno e un nipotino che hanno lo stesso sangue e che non possono più vedersi. Che cosa posso fare?»

«Signor Santino, mi spieghi. C’è stato qualche screzio tra lei e sua nuora? Quali erano i vostri rapporti prima della morte di suo figlio?»

«Nessuno screzio. Ed è questo che mi ferisce di più. Già dopo tre mesi dalla morte di mio figlio mia nuora aveva incontrato il nuovo compagno, una persona importante, famosa, divorziato e senza figli. Ho l’impressione che lei provi un senso di vergogna per me e che voglia dare un taglio con tutto il suo passato. In fondo io sono stato un semplice operaio, così come lo è stato mio figlio. Ora mia nuora probabilmente vive in una casa bellissima, è circondata da attenzioni e dal lusso. Probabilmente le rievoco il mondo umile nel quale era vissuta prima e dal quale proviene anche lei. Questa è l’unica spiegazione che sono stato in grado di darmi. Non le ho fatto niente di male, anzi l’ho amata come una figlia e l’amerò sempre a prescindere da tutto».

«Ho capito. Lei in sostanza mi chiede di incontrare ogni tanto il nipotino. È questo?»

«Sì, avvocato. Vorrei che il piccino non dimenticasse mai le sue radici che oggi io rappresento. Non deve vergognarsi degli umili, iniziando da suo nonno. Auguro a mio nipote una vita agiata, ma con la consapevolezza che gli affetti non hanno una casta. Solo così sarà un vero uomo e io potrò morire in pace».

Il vecchietto mi diede le sue generalità. Abitava in un modestissimo appartamento della periferia di Roma, che aveva acquistato negli anni Sessanta, quando si era trasferito dal suo paesino abruzzese. Il suo racconto, pur se intervallato dalle pause dell’emozione, era stato lucido e accorato. Sapevo che questo era uno di quei casi in cui l’avvocato è chiamato a fare qualcosa che va oltre un mero mandato professionale. L’anziano signore mi fornì le notizie minime della nuora e del nipotino per iniziare la ricerca.

«Va bene signor Santino, cercherò di mettermi sulle tracce di sua nuora. Poi vedremo cosa fare».

Il vecchio si alzò lentamente e mi fissò con due occhi pieni di una tristezza che invase anche me. Si allontanò barcollando e con la testa bassa. Vedere un anziano, che ha vissuto un’intera esistenza con sacrifici e rinunce, trovarsi solo al mondo e per giunta con un tale dolore dentro, sarebbe uno spettacolo insopportabile per chiunque.

Lo raggiunsi per accompagnarlo alla porta con la voglia di abbracciarlo. Avrebbe potuto essere mio padre. Gli strinsi forte la mano e lui mi salutò con un sorriso amaro. Dopo qualche giorno, grazie a un amico investigatore, riuscii finalmente a scoprire dove si trovasse il piccolo Giulio. Contattai Santino, che piombò subito da me. Gli consegnai il recapito del nipotino e lui mi rispose raggiante che voleva scrivergli subito. Se ne andò dopo un minuto ringraziandomi cento volte per il piacere che gli avevo fatto. Purtroppo, a distanza di un mese, Santino ritornò da me. La sua lettera era tornata indietro perché il destinatario era risultato “sconosciuto” al postino.

Era disperato perché aveva raccolto l’ennesima prova che per lui non c’era più posto nella famiglia di Giulio. Fui catturato da un sentimento di rabbia e concordai con il mio cliente che avrei inviato io una raccomandata alla madre di Giulio per rappresentarle il forte e legittimo desiderio del nonno di riabbracciare suo nipote.

Due giorni dopo, però, Santino ritornò improvvisamente nel mio studio e mi consegnò un’altra lettera scritta di suo pugno, sulla cui busta era scritto: «Per Giulio da nonno Santino».

L’anziano era molto malato e voleva che almeno un messaggio scritto arrivasse al piccolo nipote: «Avvocato, la legga pure, veda se va bene. Di lei mi fido. È l’unico che mi ha ascoltato in questi anni di solitudine».

La lessi e promisi a quel nonno che, in un modo o nell’altro, l’avrei fatta pervenire al nipote, quando sarebbe stato il momento.

«Avvocato, prima di questa vicenda non avevo mai messo piede in uno studio legale, non ne avevo mai avuto bisogno. Chissà quante storie assurde lei avrà visto nel suo lavoro, gente che lascia una moglie o un marito uccidendo la serenità dei figli. Mi creda, se tutti avessero avuto la fortuna di rispettare la famiglia e il matrimonio come abbiamo fatto io e mia moglie, lei avrebbe cambiato mestiere perché non avrebbe avuto clienti. L’amaro destino, invece, mi ha portato nel suo studio. Ho combattuto nella mia vita, ma ora so che non ho più forze né armi per difendermi. Anche se tentassimo un’azione legale, non avrei la speranza di rivedere il bambino. Passerebbe troppo tempo e io sono vecchio. Non voglio farmi amare perché un giudice lo impone. Lasciamo così le cose. Tenga pure questa lettera e un giorno faccia in modo che mio nipote possa leggerla».

Guardai negli occhi quell’uomo. L’amore che lui aveva espresso per sua moglie e per i suoi familiari erano stati per me un’autentica scudisciata. In una realtà come quella di oggi, caratterizzata da famiglie in conflitto eterno, la storia di questo povero vecchio rappresentava il più grande messaggio di umanità che io avessi mai colto nel mio strano lavoro. E la migliore risposta a quei 27 minuti che condannano a morte tanti amori.

Santino aveva capito che non c’era più niente da fare per riabbracciare Giulio. In fondo aveva ragione: la voglia di dare amore non può essere svilita da una sentenza. Nessun tribunale può ripristinare valori e sentimenti, ma può solo impartire ordini. Dopo essersi commosso, Santino se ne andò. Lo seguii con lo sguardo dalla finestra dello studio fin quando a fatica riuscì a tuffarsi tra la folla di un tram. Fu l’ultima volta che lo vidi. Circa un mese dopo mi giunse la lettera di un collega che rappresentava la nuora, a riscontro della mia raccomandata.

La donna, forse in preda a un minimo di rimorso, aveva acconsentito agli incontri di Giulio con Santino, a patto che avvenissero a Roma, per un mezzo pomeriggio ogni quattro mesi. Mi indignai per tale stupida rigidità, ma cercai di contattare il mio anziano cliente. Il suo cellulare, però, risultò sempre spento per giorni. Gli scrissi, ma non ebbi risposta. Allora decisi di recarmi a casa sua. Non appena giunto sotto il portone di quello stabile di borgata, non feci nemmeno in tempo a togliermi il casco che lessi il manifesto di morte di Santino che il suo condominio gli aveva dedicato: l’anziano era deceduto due settimane prima, da solo come un cane in ospedale. Nessuno seppe dirmi per quale malattia era morto. Un suo vicino di casa, accortosi di me che sostavo impietrito dinanzi a quel maledetto manifesto, si avvicinò e mi riferì che quando l’ambulanza era giunta in suo soccorso, Santino aveva le lacrime agli occhi e con una mano sembrava salutasse per l’ultima volta quanti lo avevano visto in quello stato. Lui aveva scelto di morire perché non aveva più senso aspettare ancora la morte. I nostri vecchi sono come gli orsi. Sanno loro quando è arrivato il momento di farla finita e togliere il “disturbo”. Tornai allo studio con un senso di vuoto, un terribile nodo in gola.

Pensai durante tutto il tragitto di ritorno che il piccolo Giulio aveva perso l’amico più caro. Quella sera rilessi cento volte la straziante lettera che Santino aveva scritto al nipote, con la sua mano incerta ma sincera. Conteneva tanti errori, ma era il più grande inno all’amore che avessi mai letto. Decisi, dopo qualche giorno, di inviarla al legale della nuora affinché la consegnasse alla cliente e quindi al bambino. Comunicai, inoltre, che Giulio avrebbe ereditato la casetta del nonno defunto e qualche piccolo risparmio. La mia fu una comunicazione laconica dalla quale traspariva, tra le righe, tutto il mio disprezzo per come era stata gestita la vicenda sia dal collega che dalla sua cliente. Ancora oggi, a distanza di tanto tempo, questa storia mi ritorna in mente tutti i giorni. Quel vecchietto mi ha insegnato che c’è ancora tanto amore fuori dai tribunali. Santino alla fine della sua lettera scrisse:

Nipotino adorato… perdonami se non mi sono fatto più vedere… sappi che il nonno, la nonna e papà ti staranno sempre accanto…Proteggi sempre la tua cara mamma… Addio mio piccolo Giulio, vedrai che un giorno torneremo a giocare insieme e saremo felici come prima.

 

Tratto dal saggio “I perplessi Sposi” (Aliberti Editore) di Gian Ettore Gassani, Avvocato Matrimonialista in Milano e Roma. Avvocato Cassazionista, Presidente Nazionale dell’Associazione Avvocati Matrimonialisti Italiani (AMI), esperto in diritto di famiglia, diritto delle persone, diritto minorile, diritto penale della famiglia, diritto di famiglia internazionale, diritto delle successioni ereditarie, diritto civile, diritto penale.

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