DECRETI, DECRETONI E DE CRETINI… VERSO IL TRIBUNALE PER LA FAMIGLIA?

Da vent’anni i vari governi che si sono succeduti, a prescindere dal loro colore, hanno sfornato una serie di riforme del diritto di famiglia con la speranza di cambiare le cose.
La legge 149/01, la legge 54/06, la legge 219/12, il decreto legge 132/14. Queste le più importanti. Tuttavia c’è un filo conduttore che lega queste leggi: sono state tutte a costo zero.
Inutile negarlo, in Italia non si investe sulla famiglia, sia nella sua fase fisiologica che patologica. Si fa poco di concreto. Solo slogan e proclami di cambiamento. Per chi invece la vita del tribunale è tutto, tale disimpegno dello Stato rispetto a tali problematiche rappresenta un irresponsabile insulto.
Gran parte delle risorse finanziarie viene impiegata per il settore penale. Solo per le intercettazioni telefoniche (molte delle quali del tutto inutili) si sprecano dai 300 ai 400 milioni di euro all’anno. Un suicidio economico.
Per il settore famiglia si investe zero euro. Tutto è come sempre. Tutto è legato alla buona volontà di pochi in un contesto giudiziario che vive di improvvisazioni, di eccessi di discrezionalità dei giudici, di carenza di specializzazione e, talvolta, anche di professionalità.
Eppure la famiglia uccide più della mafia.
Tra le mura domestiche si consumano i reati più orrendi. Non si contano più le stragi, i femminicidi, gli infanticidi, gli abusi e tanto altro ancora.
Attorno al pianeta famiglia si sprecano solo inutili analisi di “come” cambia la società e si raccolgono soltanto dati statistici sulla mattanza ossia la conta dei morti ammazzati.
Pensate all’ultimo decreto sfornato il 13 settembre scorso.
Per carità tutti salutiamo con favore il principio di semplificare il processo civile per deflazionare il carico di lavoro dei nostri fatiscenti tribunali e per scoraggiare (giustamente) gli avvocati delle cause perse a non promuovere vertenze con il solo intento dilatorio. Tutto condivisibile per carità, almeno sulla carta.
Ma quando tale decreto si estende alle separazioni e ai divorzi con la trovata della negoziazione assistita o peggio ancora con la possibilità che la coppia possa separarsi o divorziare, senza difensore, direttamente all’ufficiale dello stato civile, si resta sconcertati.
Da una parte si tende ad attribuire “un prestigio” alla classe forense (dopo anni di polemiche tra gli avvocati e i guardiasigilli), ma dall’altro si sviliscono procedure che hanno una rilevanza sociale formidabile in mere pratichette amministrative al pari del cambio di una residenza.
Sottrarre alla giurisdizione un minimo controllo di certe cause familiari è pericoloso.
Può un solo avvocato patrocinare per entrambi i coniugi nel pieno della propria serenità?
Nel 99% dei casi la risposta è affermativa. Mi preoccupa molto il restante 1%.
Mi spiego. Siamo sempre sicuri che con un solo avvocato ogni accordo di separazione o divorzio sarà sempre libero da condizionamenti, da minacce o da violenze?
Bando a buonismi e ad italiche ipocrisie non possiamo negare che nel chiuso di qualche studio legale (pochissimi) potrebbe succedere di tutto di più.
Allora se così è, gli avvocati dovrebbero essere due, uno per ogni coniuge. Non staremo tranquilli del tutto lo stesso, ma sarebbe sempre una garanzia in più.
E quando i patrimoni sono importanti?
In tal caso il controllo del giudice dovrebbe essere obbligatorio.
Certo questo tipo di separazioni e divorzi (senza giurisdizione) possono farsi solo quando non ci sono figli minorenni, figli portatori di handicap o figli maggiorenni non ancora o non più economicamente autosufficienti.
Cioè queste separazioni le possono fare “fuori dal tribunale” solo le coppie sterili o quelle che hanno superato gli ottanta anni.
A conti fatti si tratterà di qualche migliaio di casi.
Ma allora cosa abbiamo semplificato? Mi pare che il caos stia semmai per aumentare.
Tutto ciò che conta resta tale e quale.
Se non passerà la legge sul divorzio breve (ferma al Senato) ci vorranno tre anni di separazione per chiedere il divorzio. Allora non abbiamo semplificato un bel niente.
La politica fa orecchie da mercante. Si è abbandonato l’antico progetto, tanto caro all’AMI da anni, del varo del Tribunale per la Famiglia o quello di altri giuristi che invocano l’organizzazione di sezioni specializzate della famiglia in ogni tribunale.
Il Tribunale per la Famiglia sarebbe la vera svolta radicale.
Si potrebbe in parte salvare l’esperienza dei tribunali per i minorenni (oltre alle strutture) e riorganizzare gli uffici con magistrati specializzati nell’ambito di un giusto processo dove il diritto di difesa dovrà essere centrale.
Un unico organo giudiziario composto da giudici che si occuperanno di diritto delle relazioni familiari per tutta la loro carriera.
E soprattutto un organo giudiziario senza “l’eccesso di potere” giudici onorari che di fatto oggi hanno un ruolo determinante nella fase istruttoria e nella fase decisoria nelle procedure minorili.
Molti obiettano che il Tribunale per la Famiglia sarebbe distante geograficamente per molti territori. È vero, ma si potrebbe pensare a distribuirli in modo intelligente e senza sprechi per aree metropolitane o secondo sezioni distaccate in determinate zone strategiche.
Ma pensare che sia necessario avere il giudice sotto casa per tutti è fuori da ogni logica (giustizia di prossimità…).
Le sezioni specializzate in ogni tribunale sono una bella chimera. Sostenere tuttavia questa tesi è solo demagogia o mancanza di sano realismo.
Come possiamo organizzare sezioni specializzate del diritto di famiglia in tutti i tribunali se molti tribunali sono sotto organico? Ma di cosa parliamo?
Allora la soluzione possibile, data la carenza di fondi, è il Tribunale per la Famiglia.
Ma una cosa è certa. L’attuale situazione non è più tollerabile. Leggere in un’ordinanza di un giudice che “in fondo l’assegno di mantenimento in favore dei figli può essere scaricato fiscalmente…” (testuali parole), significa che il nostro sistema è alla frutta, anzi al conto.
Avv. Gian Ettore Gassani